TRIBUNALE ORDINARIO DI ANCONA 
 
 
                        Prima Sezione Civile 
 
    Nel procedimento iscritto al n. r.g. 3081/2019 promosso da:  A...
S... ricorrente; 
    Contro Comune di Ancona, resistente. 
    Il giudice dott. ssa Martina Marinangeli,  a  scioglimento  della
riserva assunta all'udienza del 10 luglio  2019,  ha  pronunciato  la
seguente ordinanza con ricorso depositato in data 13 maggio 2019 S...
A... ha domandato che venisse  ordinata  al  sindaco  del  Comune  di
Ancona l'immediata iscrizione del ricorrente nel registro  anagrafico
della popolazione residente. 
    A sostegno della domanda cautelare il ricorrente ha dedotto che: 
        e' regolarmente soggiornante in Italia dal 20 giugno 2017  in
virtu' di permesso di soggiorno per richiesta asilo; 
        vive stabilmente nel Comune di Ancona dal 17  novembre  2018,
quando e' stato inserito  presso  le  strutture  di  accoglienza  per
richiedenti asilo operative nel territorio comunale; 
        in particolare, ha la stabile dimora presso la  struttura  di
via..., come  attestato  anche  dalla  cooperativa  responsabile  del
progetto di accoglienza; 
        in data 12 marzo 2019  ha  formulato  istanza  di  iscrizione
anagrafica presso il Comune di Ancona e l'ufficiale di  stato  civile
ha dichiarato l'istanza «irricevibile ed inefficace» sulla base della
seguente motivazione: «a norma dell'art. 4, comma 1-bis  del  decreto
legislativo  n.  142  del  18  agosto  2015,  cosi'  come  introdotto
dall'art. 13 del decreto-legge n. 113 del 5 ottobre 2018,  convertito
in legge il 1º dicembre  2018,  n.  132,  il  permesso  di  soggiorno
rilasciato  per  richiesta   asilo   non   costituisce   titolo   per
l'iscrizione anagrafica ai sensi del  decreto  del  Presidente  della
Repubblica 30 maggio 1989, n. 223 e dell'art. 6, comma 7 del  decreto
legislativo 25 luglio 1998, n. 286»; 
        il rifiuto opposto dall'ufficiale  di  stato  civile  sarebbe
illegittimo in quanto il legislatore  non  ha  posto  chiaramente  un
divieto generalizzato di  iscrizione  anagrafica  per  i  richiedenti
asilo dotati di permesso di  soggiorno  e,  in  ogni  caso,  un  tale
divieto   sarebbe   in   contrasto   con   norme   costituzionali   e
sovranazionali che vietano qualsiasi discriminazione tra cittadini  e
stranieri regolarmente soggiornanti; 
        la  mancata   iscrizione   all'anagrafe   della   popolazione
residente pregiudica  l'esercizio  di  tutta  una  serie  di  diritti
(quali:  «eventuale  iscrizione  scolastica,  sottoscrizione  di   un
contratto di lavoro, accesso  alle  misure  di  politica  attiva  del
lavoro ex art. 11, comma 1, lett c, decreto legislativo n.  150/2015,
apertura di un conto corrente  su  cui  il  datore  di  lavoro  possa
versare il salario,  ottenimento  della  patente  di  guida  ex  art.
118-bis 1 cds, determinazione valore ISEE per accedere a  determinate
prestazioni sociali, decorrenza dei termini sia per il  rilascio  del
permesso per soggiornanti di lunga periodo..., sia per  l'ottenimento
della cittadinanza italiana ex art. 9, 1 lettera f), legge n. 91/1992
ecc.») e pertanto, alla luce della entita' e natura  dei  diritti  la
lesione del diritto all'iscrizione anagrafica sarebbe  insuscettibile
di tutela per equivalente. 
    All'udienza del 10 giugno 2019 si  e'  costituito  il  Comune  di
Ancona, chiedendo: 
        di essere estromesso dal giudizio, per  essere  il  Ministero
dell'interno dotato di legittimazione passiva; 
        di  sollevare  questione   di   legittimita'   costituzionale
dell'art. 13, comma  1,  lettera  a),  n.  2)  del  decreto-legge  n.
113/2018 del 5 ottobre 2018, convertito  in  legge  n.  132/2018,  in
riferimento agli articoli 2, 3, 10, 16,  77,  97,  117  e  118  della
Costituzione; 
        in subordine, di rigettare la domanda. 
    A scioglimento della riserva  assunta  all'udienza,  il  giudice,
rammentando che ai fini della  tutela  ex  art.  700  del  codice  di
procedura civile il periculum in mora non possa essere individuato in
astratto bensi' con riferimento ai pregiudizi cui  il  ricorrente  in
concreto si espone in attesa del giudizio di merito, ha  invitato  il
ricorrente  ad  argomentare  in  ordine  alla   sussistenza   di   un
pregiudizio imminente ed irreparabile. 
    Con la memoria autorizzata il ricorrente ha evidenziato che, allo
stato attuale, in difetto di iscrizione anagrafica: 
        gli e' preclusa la stipula di  un  contratto  lavorativo  con
l'Associazione polisportiva dilettantistica «...», la cui stipula  e'
subordinata alla condizione che il medesimo apra la partita I.v.a.  e
consegua la patente di guida, incombenti entrambi  che  presuppongono
la titolarita' di una residenza anagrafica; 
        il  ricorrente  non  ha  possibilita'  di   stipulare   altri
contratti di prestazione di lavoro occasionale (come disciplinati dal
decreto-legge n. 50/2017)  in  quanto  gli  stessi  presuppongono  la
registrazione presso la  piattaforma  telematica  dell'INPS,  la  cui
procedura richiede indefettibilmente l'indicazione dell'indirizzo  di
residenza; 
        gli  e'  preclusa  l'iscrizione  in  qualita'  di   socio   e
volontario all'Associazione Onlus «...»,  iscrizione  che  presuppone
l'indicazione della residenza anagrafica sia  ai  fini  dell'acquisto
della qualita' di socio, che ai fini  dell'iscrizione  al  libro  dei
volontari per la stipula della polizza assicurativa, con  conseguente
ostacolo al processo di integrazione del richiedente; 
        la mancanza di una residenza anagrafica  ostacola  l'apertura
di un regolare conto corrente bancario, con  preclusione  all'accesso
ai servizi bancari; 
        la  residenza   anagrafica   ha   rilevanza   rispetto   alla
maturazione dei  requisiti  necessari  ad  ottenere  la  cittadinanza
italiana, ai sensi dell'art. 9, lett f) della legge n. 91/1992, norma
che  subordina  l'ottenimento  della  cittadinanza   alla   residenza
protratta dello straniero sul territorio per almeno dieci anni. 
    Il Comune di Ancona, in punto di periculum  in  mora,  ha  invece
evidenziato che ogni pregiudizio sarebbe scongiurato dall'art. 5  del
decreto legislativo n. 142/2015 norma che garantirebbe, in ogni caso,
al richiedente asilo l'accesso a tutti i servizi previsti dal decreto
nonche' a quelli comunque erogati sul territorio nazionale. 
    All'udienza del 10 luglio 2019 la causa e'  stata  trattenuta  in
riserva. 
    Ai fini della decisione appare opportuno esaminare analiticamente
le  diverse  questioni  giuridiche,  partendo  dalla   legittimazione
passiva della parte evocata in giudizio. 
1. Sulla legittimazione passiva del Comune di Ancona 
    Questo giudice ritiene che il Comune di Ancona,  in  persona  del
sindaco, sia dotato di legittimazione passiva nel presente giudizio. 
    Il comune convenuto in giudizio  ha  argomentato  il  difetto  di
legittimazione  passiva,  in  favore  del   Ministero   dell'interno,
sostenendo che l'anagrafe e' servizio  di  competenza  statale  e  il
sindaco ne esercita le funzioni quale ufficiale di  governo  in  base
all'art. 14, decreto legislativo n.  267/2000,  pertanto,  lo  stesso
agisce  quale  delegato  del   Ministero   dell'interno   e   sarebbe
gerarchicamente  sottoposto  a  quest'ultimo.  L'azione  del  sindaco
sarebbe dunque imputabile non  all'ente  locale,  ma  allo  Stato  in
virtu' del rapporto organico. 
    E' pacifico che il sindaco curi il registro  dell'anagrafe  quale
ufficiale di governo. Il testo unico enti locali sul punto  statuisce
quanto segue: 
    Art. 14 Art. 14 Compiti del  comune  per  servizi  di  competenza
statale 
    1. Il comune gestisce i servizi elettorali, di stato  civile,  di
anagrafe, di leva militare e di statistica. 
    2.  Le  relative  funzioni  sono  esercitate  dal  sindaco  quale
ufficiale del Governo, ai sensi dell'art. 54. 
    3. Ulteriori funzioni amministrative per  servizi  di  competenza
statale possono essere affidate ai  comuni  dalla  legge  che  regola
anche  i  relativi  rapporti  finanziari,  assicurando   le   risorse
necessarie. 
    Art. 54 (Attribuzioni del sindaco nelle  funzioni  di  competenza
statale) 
    (...) 
    3.  Il  sindaco,  quale  ufficiale  del   Governo,   sovrintende,
altresi', alla tenuta dei registri di stato civile e di popolazione e
agli adempimenti demandatigli dalle leggi in materia  elettorale,  di
leva militare e di statistica. 
    (...) 
    11. Nelle fattispecie di cui ai commi 1,  3  e  4,  nel  caso  di
inerzia del sindaco o del suo delegato nell'esercizio delle  funzioni
previste dal comma 10,  il  prefetto  puo'  intervenire  con  proprio
provvedimento. 
    12. Il Ministro dell'interno puo' adottare atti di indirizzo  per
l'esercizio delle funzioni previste dal presente  articolo  da  parte
del sindaco. 
    Il quadro  normativo  non  delinea  il  rapporto  tra  sindaco  e
Ministero dell'interno quale vero e proprio rapporto  gerarchico,  in
quanto  l'intervento  del  Ministero  e'  confinato  all'ipotesi   di
«inerzia del Sindaco» (comma 11)  o  comunque  alla  promanazione  di
«atti di indirizzo per l'esercizio delle funzioni» (comma 12). 
    Il Consiglio di Stato, con le sentenze n. 5047 e 5048  del  2016,
ha chiarito che dal fatto che  al  sindaco  siano  attribuiti  poteri
quali ufficiale di governo non si puo' inferire la sussistenza di  un
rapporto di gerarchia propria tra sindaco e  Ministero  dell'interno,
che consentirebbe a quest'ultimo  di  annullare  gli  atti  posti  in
essere dal primo nella veste di superiore gerarchico. Cio' in quanto,
un rapporto generico di vigilanza - quale quello che viene in rilievo
nel caso di specie  -  non  sottrae  la  titolarita'  della  funzione
all'organo vigilato, che pertanto  risponde  in  proprio  degli  atti
emessi nell'esercizio di poteri statali. 
    La sussistenza di un rapporto di vigilanza, nella materia oggetto
di giudizio,  trova  conferma  nel  regolamento  dell'anagrafe  della
popolazione residente  (decreto  del  Presidente  della Repubblica n.
223/1989). 
    Art. 52 Vigilanza del prefetto. 
    1. Il prefetto vigila affinche'  le  anagrafi  della  popolazione
residente e gli ordinamenti  topografici  ed  ecografici  dei  comuni
della provincia siano tenuti in conformita' alle norme  del  presente
regolamento e che siano rigorosamente osservati  le  modalita'  ed  i
termini previsti per il costante e  sistematico  aggiornamento  degli
atti, ivi compresi gli adempimenti di  carattere  statistico.  2.  La
vigilanza viene esercitata  a  mezzo  di  ispezioni  da  effettuarsi,
almeno una volta all'anno in tutti  i  comuni,  da  funzionari  della
prefettura  appartenenti  alle  carriere  direttiva  e  di  concetto,
competenti  in  materia   anagrafica   e   statistica.   3.   L'esito
dell'ispezione  deve  essere  comunicato  all'Istituto  centrale   di
statistica. 
    Art.  54  Vigilanza  esercitata  dal  Ministero  dell'interno   e
dall'Istituto centrale di statistica. 
    1. L'alta vigilanza  sulla  regolare  tenuta  delle  anagrafi  e'
esercitata dal Ministero  dell'intero  e  dall'Istituto  centrale  di
statistica per mezzo di propri funzionari  ispettori.  2.  L'Istituto
centrale di statistica vigila, tra l'altro,  affinche'  da  parte  di
tutti  i  comuni  siano  adottati  modelli  conformi  agli   appositi
esemplari predisposti dall'Istituto stesso e promuove  da  parte  dei
comuni l'adozione di sistemi organizzativi e funzionali  dei  servizi
anagrafici rispondenti ai progressi della tecnica  amministrativa  ed
alle esigenze dei servizi stessi. 
    La  Cassazione  a   Sezioni   Unite,   peraltro,   pronunciandosi
recentemente in materia di rifiuto di procedere alla trascrizione nei
registri dello  stato  civile  di  un  provvedimento  giurisdizionale
straniero - e pertanto in materia di stato  civile,  nella  quale  il
sindaco, al pari della materia dell'anagrafe, agisce quale  ufficiale
di governo ai sensi dell'art. 14 TUEL sopra richiamato - ha  statuito
che la relativa azione da' luogo ad  una  controversia  di  stato  da
svolgersi  «in  contraddittorio  con  il  sindaco,  in  qualita'   di
ufficiale dello stato  civile,  ed  eventualmente  con  il  Ministero
dell'interno, legittimato a spiegare  l'intervento  in  giudizio,  in
qualita' di titolare  della  competenza  in  materia  di  tenuta  dei
registri dello stato civile» (Cass. n. 12193/2019). 
    In   conclusione,   dunque,   deve   ritenersi   sussistente   la
legittimazione passiva del Comune di Ancona, in persona del  sindaco,
quale soggetto che  risponde  in  proprio  degli  atti  emessi  anche
nell'esercizio di poteri statali. 
    La questione circa la legittimazione passiva del Ministero e,  in
particolare,  circa  l'eventuale  titolarita'  di  una  posizione  di
litisconsorte necessario in un  procedimento  analogo  a  quello  sub
iudice  e'  stata  affrontata  e  risolta  negativamente  anche   dal
Tribunale di Firenze in sede di reclamo avverso un'ordinanza resa  ex
art. 700 del codice di procedura civile nel  contraddittorio  con  il
solo Comune di Scandicci (ordinanza del 27 maggio 2019). 
    La Corte fiorentina  ha  concluso  nel  senso  che  il  Ministero
dell'interno avrebbe potuto espletare intervento quale  litisconsorte
facoltativo nel giudizio ex art. 700 del codice di  procedura  civile
in ragione del fatto che: «la  circostanza  che  il  Ministero  degli
interni abbia la vigilanza sull'anagrafe, non  determina  affatto  un
rapporto necessariamente consortile di diritto sostanziale: (...), la
titolarita' della  funzione  resta  in  capo  al  sindaco  mentre  il
rapporto generico di vigilanza in capo al Ministero  non  sottrae  la
titolarita'  della  funzione  all'organo  vigilato,  unico   soggetto
individuato dalla legge a svolgere quel dato compito». 
    Ad abundantiam si puo' richiamare anche la copiosa giurisprudenza
amministrativa che ravvisa la legittimazione passiva del sindaco  nei
ricorsi avverso  le  ordinanze  contingibili  ed  urgenti  -  che  si
rammenta vengono adottate dal medesimo quale ufficiale di  governo  -
«atteso che tale  organo  comunale  anche  ove  eserciti  il  ridetto
potere,  non  dismette  la  sua  natura   di   soggetto   espressione
dell'amministrazione locale, la quale, infatti, risponde  degli  atti
posti in essere dal sindaco in  siffatta  qualita'»  (Cfr.  Tribunale
amministrativo   regionale   Campania   n.    3011/2015,    Tribunale
amministrativo regionale Roma n.  750/2011,  Consiglio  di  Stato  n.
3424/2010, Consiglio di Stato n. 4434/2008). 
    Per  tutte  le  ragioni   esposte,   stante   la   legittimazione
processuale del  sindaco  e  la  natura  ontologicamente  celere  del
giudizio cautelare, ritiene questo giudice di non dover estendere  il
giudizio al Ministero dell'interno, portatore  si'  di  un  interesse
concreto alla partecipazione che ne legittimerebbe  l'intervento,  ma
non anche litisconsorte necessario. 
2. Sul fumus boni iuris della tutela cautelare 
    Per quanto concerne lo scrutinio del fumus boni iuris, al fine di
stabilire se sussista un diritto ad ottenere l'iscrizione al registro
dell'anagrafe in capo al richiedente asilo titolare  di  permesso  di
soggiorno, appare utile partire da un esame del quadro normativo. 
    La norma di riferimento, posta dal Comune di Ancona a  fondamento
del rigetto della domanda  e'  l'art.  4,  comma  1-bis  del  decreto
legislativo n. 142/2015, come modificato dall'art. 13,  decreto-legge
n. 113/2018, in base al quale: 
        1-bis. Il permesso  di  soggiorno  di  cui  al  comma  1  non
costituisce titolo per l'iscrizione anagrafica ai sensi  del  decreto
del Presidente della Repubblica 30 maggio 1989, n. 223,  e  dell'art.
6, comma 7, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286. 
    Ai fini della comprensione  del  significato  della  disposizione
occorre dunque attingere alla norme richiamate, le  quali  dispongono
quanto segue. 
    2.1 Sul decreto del Presidente della Repubblica  n.  223/1989  in
materia di iscrizione all'anagrafe. 
    Il decreto del Presidente della Repubblica n. 223/1989, normativa
deputata   alla   regolamentazione   dell'iscrizione    all'anagrafe,
individua puntualmente: 
        le  dichiarazioni  da  rendere   ai   fini   dell'ottenimento
dell'iscrizione all'anagrafe (art. 13); 
        i casi nei quali si puo' richiedere  l'iscrizione  anagrafica
(art. 7); 
        i soggetti che  rendono  le  dichiarazioni  e  i  presupposti
affinche' le possano rendere (art. 6); 
        gli accertamenti compiuti dall'ufficiale dell'anagrafe  (art.
14). 
    L'art. 7 individua coloro  che  possono  richiedere  l'iscrizione
all'anagrafe della popolazione residente: 
    1. L'iscrizione nell'anagrafe della popolazione  residente  viene
effettuata: 
        a) per nascita, presso il comune di residenza dei genitori  o
presso  il  comune  di  residenza  della  madre  qualora  i  genitori
risultino residenti in comuni diversi, ovvero, quando siano ignoti  i
genitori, nel comune ove e' residente la persona o la convivenza  cui
il nato e' stato affidato; 
        b) per esistenza giudizialmente dichiarata; 
        c) per  trasferimento  di  residenza  dall'estero  dichiarato
dall'interessato non iscritto, oppure  accertato  secondo  quanto  e'
disposto dall'art. 15,  comma  1,  del  presente  regolamento,  anche
tenuto conto delle particolari  disposizioni  relative  alle  persone
senza fissa dimora di cui all'art. 2, comma  terzo,  della  legge  24
dicembre  1954,  n.  1228,  nonche'  per   mancanza   di   precedente
iscrizione. 
    2.  Per  le  persone  gia'  cancellate  per   irreperibilita'   e
successivamente  ricomparse devesi  procedere  a   nuova   iscrizione
anagrafica. 
    3.  Gli  stranieri  iscritti  in  anagrafe  hanno  l'obbligo   di
rinnovare  all'ufficiale  di  anagrafe  la  dichiarazione  di  dimora
abituale nel comune di residenza, entro sessanta giorni  dal  rinnovo
del  permesso  di  soggiorno,  corredata  dal  permesso  medesimo  e,
comunque, non decadono dall'iscrizione  nella  fase  di  rinnovo  del
permesso  di  soggiorno.  Per  gli  stranieri  muniti  di  carta   di
soggiorno, il rinnovo  della  dichiarazione  di  dimora  abituale  e'
effettuato  entro  sessanta  giorni  dal  rinnovo  della   carta   di
soggiorno. L'ufficiale di anagrafe aggiornera' la  scheda  anagrafica
dello straniero, dandone comunicazione al questore. 
    Il trasferimento della residenza dall'estero, quindi, rientra tra
le ipotesi che danno diritto all'iscrizione anagrafica. Lo straniero,
peraltro,  come  si  evince  dal  terzo  comma,  deve  rinnovare   la
dichiarazione di dimora abituale nel comune ogni volta che ottiene il
rinnovo del permesso di soggiorno. 
    Tutti  coloro  che  richiedono  l'iscrizione  anagrafica   devono
rendere delle dichiarazioni, di  cui  sono  responsabili:  l'art.  13
individua il contenuto della dichiarazione e l'art.  6  richiede  che
colui che  rende  la  dichiarazione  comprovi  la  propria  identita'
mediante un documento di riconoscimento. 
    L'art. 13 del decreto del Presidente della Repubblica n. 223/1989
recita infatti: 
        1. Le dichiarazioni anagrafiche da rendersi dai  responsabili
di cui all'art. 6 del  presente  regolamento  concernono  i  seguenti
fatti: 
          a) trasferimento di residenza da altro comune o dall'estero
ovvero trasferimento di residenza all'estero; 
          b) (...); 
    L'art. 6 del decreto del Presidente della Repubblica n.  223/1989
recita: 
        1. Ciascun componente della famiglia e' responsabile per  se'
e per le persone sulle quali esercita la  potesta'  la  tutela  delle
dichiarazioni anagrafiche di cui all'art. 13 (...); 
        2. (...); 
        3. Le persone che rendono dichiarazioni  anagrafiche  debbono
comprovare la propria identita' mediante l'esibizione di un documento
di riconoscimento. 
    A fronte delle dichiarazioni rese ai sensi dell'art.  13,  in  un
caso rientrante in quelli individuati dall'art.  7,  da  un  soggetto
munito  di  documento  di  riconoscimento  ai  sensi   dell'art.   6,
l'ufficiale  dell'anagrafe  accerta   l'effettiva   sussistenza   dei
requisiti e procede all'iscrizione. 
    L'art. 18-bis prevede infatti: 
        1. L'ufficiale d'anagrafe, entro quarantacinque giorni  dalla
ricezione delle dichiarazioni rese ai sensi dell'art.  13,  comma  1,
lettere a), b) e c), accerta la effettiva sussistenza  dei  requisiti
previsti dalla legislazione vigente per la registrazione. 
    L'art. 19,  nel  prevedere  uno  specifico  adempimento  compiuto
dall'ufficiale dell'anagrafe, evidenzia un  ulteriore  requisito  per
ottenere l'iscrizione ovvero quello della dimora abituale nel  comune
in cui si chiede l'iscrizione: 
        2.  L'ufficiale  di  anagrafe  e'  tenuto  a  verificare   la
sussistenza del requisito  della  dimora  abituale  di  chi  richiede
l'iscrizione ((o la mutazione)) anagrafica. Gli  accertamenti  devono
essere  svolti  a  mezzo  degli  appartenenti  ai  corpi  di  polizia
municipale o di altro personale comunale che  sia  stato  formalmente
autorizzato, utilizzando un modello conforme  all'apposito  esemplare
predisposto dall' Istituto nazionale di statistica. 
    Per quanto concerne  le  persone  che  trasferiscono  la  propria
residenza dall'estero, l'art. 14 impone una ulteriore verifica ovvero
il possesso di un passaporto o un documento di natura equipollente. 
    1. Chi  trasferisce  la  residenza  dall'estero  deve  comprovare
all'atto della dichiarazione di cui all'art. 13, comma 1, lettera a),
la propria identita' mediante l'esibizione del passaporto o di  altro
documento equipollente. 
    2.2 Sull'art. 6 del decreto legislativo n. 286/1998. 
    Compiuto lo scrutinio della normativa in materia di anagrafe deve
ora passarsi all'esame dell'art. 6 del decreto legislativo n. 286 del
1998, norma parimenti richiamata dall'art. 4,  comma  1-bis,  decreto
legislativo n. 142/2015 oggi oggetto di esame. 
    L'art. 6 del testo unico  immigrazione  recita  quanto  segue  al
comma 7: 
        le  iscrizioni  e  variazioni  anagrafiche  dello   straniero
regolarmente soggiornante sono effettuate  alle  medesime  condizioni
dei cittadini italiani con le modalita' previste dal  regolamento  di
attuazione. In ogni caso  la  dimora  dello  straniero  si  considera
abituale anche in caso di documentata ospitalita' da piu' di tre mesi
presso  un  centro  di  accoglienza.   Dell'avvenuta   iscrizione   o
variazione l'ufficio da' comunicazione alla questura territorialmente
competente. 
    La disposizione pone quindi i seguenti principi: 
        lo straniero ha  diritto  alle  iscrizioni  anagrafiche  alle
stesse condizioni del cittadino italiano; 
        affinche' cio' avvenga lo straniero deve essere  regolarmente
soggiornante; 
        la dimora dello straniero si  considera  abituale  quando  e'
documentata la sua permanenza per piu' di tre mesi presso  un  centro
di accoglienza. 
    2.3  Sull'interpretazione  dell'art.  4,  comma  l-bis,   decreto
legislativo n. 142/2015 alla luce dei richiami normativi. 
    Chiarito il  portato  normativo  richiamato  dall'art.  4,  comma
1-bis, decreto legislativo n. 142/2015,  si  puo'  ora  tornare  allo
scrutinio della norma per comprenderne meglio il significato: 
        1-bis. Il permesso  di  soggiorno  di  cui  al  comma  1  non
costituisce titolo per l'iscrizione anagrafica ai sensi  del  decreto
del Presidente della Repubblica 30 maggio 1989, n. 223,  e  dell'art.
6, comma 7, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286. 
    Dall'esame delle norme richiamate si evince che le  medesime  non
richiedono  espressamente  alcun  «titolo»   ai   fini   della   loro
operativita'. 
    La  normativa  in  materia  di  anagrafe,  infatti,  pone   quali
presupposti   ai   fini   dell'operativita'   dell'iscrizione   delle
«dichiarazioni» che sono ricognitive di uno stato di fatto (nel  caso
di  specie,  l'avvenuto   trasferimento   dall'estero)   e   richiede
«accertamenti» quale quello della dimora abituale. A  sua  volta,  la
norma del testo unico immigrazione specifica quando la dimora di  uno
straniero possa definirsi abituale e a quali condizioni lo  straniero
possa ottenere l'iscrizione anagrafica. 
    A ben vedere, tuttavia, entrambe le  normative  hanno  un  minimo
comun denominatore, che si pone quale presupposto  indefettibile  per
l'operativita'  delle  stesse,  e  cioe'   che   lo   straniero   sia
regolarmente soggiornante sul territorio e che sia in possesso di' un
documento di riconoscimento. 
    La regolarita' del soggiorno e' infatti richiesta: 
        per l'operativita' dell'art. 6  testo  unico  immigrazione  e
cioe' per ottenere l'iscrizione anagrafica alle stesse condizioni del
cittadino italiano; 
        per ottenere l'iscrizione stessa, dal momento che  l'art.  7,
comma 7, decreto del Presidente della Repubblica n.  223/1989  impone
allo straniero di rinnovare gli adempimenti al rinnovo  del  permesso
di soggiorno. 
    Il possesso di un documento di riconoscimento e' richiesto: 
        al  fine  di  provare  l'identita'  per  poter   rendere   le
dichiarazioni  di  cui  all'art.  6  decreto  del  Presidente   della
Repubblica n. 223/1989; 
        al fine  di  provare  l'identita'  per  poter  trasferire  la
residenza dall'esterno ai sensi dell'art. 14, decreto del  Presidente
della Repubblica n. 2237/1989. 
    Tanto premesso, e rimanendo  sul  piano  di  una  interpretazione
letterale, e' evidente che l'espressione «il  permesso  di  soggiorno
non costituisce titolo» si colora di un immediato significato e cioe'
il permesso di soggiorno non prova, a quei fini, la  regolarita'  del
soggiorno dello straniero in Italia e non  costituisce  documento  di
riconoscimento. 
    Questa interpretazione letterale e' avallata dall'intero  dettato
normativo dell'articolo in cui e' inserito il comma in discussione. 
    L'art. 4 del decreto legislativo n. 142/2015 si occupa,  infatti,
di descrivere il permesso  di  soggiorno  rilasciato  al  richiedente
asilo, circoscrivendone la valenza. 
    Da una parte, lo stesso e' titolo di legittima  permanenza  dello
straniero sul territorio nazionale, dall'altra e' un equipollente del
documento di riconoscimento. 
    La disposizione, dopo aver fissato la validita' del permesso  per
la durata di sei mesi, rinnovabile alle  condizioni  ivi  richiamate,
statuisce che il permesso di soggiorno va  considerato  documento  di
riconoscimento ai sensi di legge (comma 1). 
    L'introduzione della  disposizione  oggetto  di  esame  al  comma
1-bis, allora, collocazione che non puo' essere casuale, non puo' che
confermare quanto gia' e' evidente e cioe' che  ai  soli  fini  della
disciplina dell'iscrizione all'anagrafe il permesso di soggiorno  non
attesta la regolarita' del soggiorno dello straniero sul territorio e
non costituisce documento di riconoscimento. 
    Se  cio'   e'   abbastanza   evidente   alla   stregua   di   una
interpretazione letterale, trova ulteriore e  decisivo  avallo  sulla
scorta dell'interpretazione teleologica. 
    E' noto a questo giudicante che il criterio letterale e' solo  il
primo dei canoni ermeneutici alla stregua del quale va  ricercato  il
significato delle parole, non considerate isolatamente, ma secondo la
loro connessione e, anche  in  presenza  di  un  significato  chiaro,
l'interpretazione della norma  va  effettuata  anche  alla  luce  del
criterio funzionale fondato sul riferimento alla ragione della legge. 
    E' parimenti noto che con intenzione del  legislatore  non  debba
intendersi la volonta' soggettiva di chi ha concorso  ad  emanare  la
norma, ma l'intenzione obiettivizzata nella legge, alla  stregua  del
tramonto della teoria della volonta' soggettiva a  favore  di  quella
oggettiva. 
    Orbene,   ai   fini   dell'individuazione   dell'intenzione   del
legislatore deve farsi riferimento alla ratio della norma,  cioe'  lo
scopo al quale la norma  risulta  funzionalizzata,  la  sua  ragione,
l'interesse specifico tutelato. A tale fine, i lavori  preparatori  o
le relazioni di accompagnamento delle  leggi  offrono  argomenti  dai
quali inferire la ragione obiettiva della norma. 
    La relazione di  accompagnamento  al  decreto-legge  n.  113/2018
espressamente statuisce sul punto:  «il  permesso  di  soggiorno  per
richiesta asilo non consente l'iscrizione all'anagrafe dei residenti,
fermo restando che esso costituisce documento di riconoscimento (...)
l'esclusione  dell'iscrizione  anagrafica  si   giustifica   per   la
precarieta'  del  permesso  per  richiesta  asilo  e  risponde   alla
necessita' di definire preventivamente la condizione giuridica  dello
straniero». 
    Il legislatore e' giunto quindi ad esplicitare la  ratio  di  una
tale scelta di politica legislativa e la stessa risiede nell'esigenza
di definire quale sia la condizione giuridica dello  straniero  e  se
cioe' abbia diritto o meno alla permanenza sul territorio nazionale a
seguito  del  riconoscimento  di  una  delle  forme   di   protezione
internazionale.   Pertanto,   il   legislatore   ha   deliberatamente
postergato il diritto all'iscrizione anagrafica, all'esito del vaglio
della richiesta di protezione dello straniero. 
    Tale assunto e'  ulteriormente  confermato  dalla  circolare  del
Ministero dell'interno del 18 ottobre 2018 che, un  qualche  rilievo,
seppure ad abundantiam riveste. 
    Infatti, la  stessa,  sebbene  mero  atto  interno  dell'apparato
amministrativo, non costituente fonte  del  diritto,  e  sebbene  non
coeva all'emanazione della  norma  di  legge,  promana  dal  medesimo
organo costituzionale che ha esercitato la  potesta'  legislativa  in
via d'urgenza mediante un decreto-legge che e' stato  poi  convertito
dal titolare formale del  potere  legislativo  e  fatto  proprio.  La
circolare espressamente statuisce:  «il  permesso  di  soggiorno  per
richiesta di protezione internazionale di cui all'art.  4,  comma  1,
del citato decreto legislativo  n.  142/2015  non  potra'  consentire
l'iscrizione anagrafica». 
    Si richiama, sempre a  corroborazione  esterna  di  un  risultato
interpretativo che si fonda in via prioritaria sul dato letterale, il
dossier n. 66/2 del  9  novembre  2018  redatto  dal  Servizio  studi
ufficio ricerche sulle questioni istituzionali, giustizia  e  cultura
del Senato della Repubblica (Dossier  reperibile  dal  sito  web  del
Senato della Repubblica) che, sebbene  non  assuma  alcuna  rilevanza
normativa,  ne'  vincoli   l'attivita'   dell'interprete,   documenta
l'attivita' degli organi parlamentari. 
    Orbene, si cita quanto nello stesso riportato,  nel  rispetto  di
quanto statuito in premessa dallo stesso dossier («la  documentazione
dei servizi e degli uffici del Senato della Repubblica e della Camera
dei deputati e' destinata alle esigenze di documentazione interna per
l'attivita' degli organi parlamentari e dei parlamentari. Si  declina
ogni  responsabilita'  per  la   loro   eventuale   utilizzazione   o
riproduzione  per  fini  non  consentiti  dalla  legge.  I  contenuti
originali possono essere riprodotti,  nel  rispetto  della  legge,  a
condizione che ne sia citata la fonte»). 
    Il dossier da pag. 126 a pag. 129 esamina le modifiche in materia
di iscrizione  anagrafica  mettendo  in  evidenza,  dopo  i  richiami
normativi che «la disposizione in esame deroga al principio  espresso
nel testo unico per i  titolari  di  un  permesso  di  soggiorno  per
richiesta asilo.  Seconda  la  relazione  illustrativa,  l'esclusione
dell'iscrizione anagrafica  si  giustifica  per  la  precarieta'  del
permesso di soggiorno per richiesta asilo e risponde alla  necessita'
di  definire  in  via  preventiva   la   condizione   giuridica   del
richiedente. In relazione alle modifiche previste dalla  disposizione
in esame, va richiamato che l'iscrizione anagrafica  e'  comunque  il
presupposto per l'esercizio di alcuni diritti sociali (...)». 
    Il risultato a cui conduce la mera attivita'  di  interpretazione
letterale e teleologica e'  chiaro:  il  permesso  di  soggiorno  per
richiedenti asilo non attesta la regolarita' del  soggiorno  ai  fini
dell'iscrizione all'anagrafe della popolazione residente. 
    Acclarato il significato della disposizione, in seconda  battuta,
si puo' poi discutere in ordine alla legittimita'  costituzionale  di
una tale previsione normativa che con una operazione di ortopedia  va
a privare -  solo  a  taluni  fini,  appunto  quelli  dell'iscrizione
all'anagrafe - il permesso di soggiorno dell'effetto  ontologicamente
riconnesso al suo rilascio ovvero quello di attestare la  regolarita'
del soggiorno dello straniero in Italia. 
    Appare impedito a questo  giudice  il  ricorso  ad  altri  canoni
interpretativi in quanto lo stesso sarebbe finalizzato a riconnettere
alla disposizione un significato diverso da quello che appare  palese
alla luce del testo della norma e della intenzione del legislatore. 
    Una tale operazione finirebbe inevitabilmente per dare  luogo  ad
una interpretatio abrogans in palese contrasto con l'esercizio  della
potesta' legislativa in capo all'organo a cio' deputato. 
    Ogni forma di interpretazione infatti non puo'  mai  disancorarsi
dal dato letterale e  puo',  al  piu',  giungere  ad  individuare  un
risultato che, seppur prima facie  non  appariva  riconducibile  alla
lettera della norma, lo diventa ad una analisi piu' profonda. 
    2.4 Sul  tentativo  di  una  «interpretazione  costituzionalmente
orientata». 
    Il tentativo di una interpretazione costituzionalmente  orientata
e' stato condotto da alcuni tribunali di merito. 
    Il  percorso  logico  seguito  dal  Tribunale  di   Bologna   con
l'ordinanza  del  2  maggio  2019,  dal  Tribunale  di  Firenze   con
l'ordinanza  del  18  marzo  2019,  dal  Tribunale  di   Genova   con
l'ordinanza del 22 maggio 2019 e poi ribadito da altre corti di primo
grado segue sostanzialmente il seguente ragionamento: 
        l'art. 4, comma 1-bis decreto  legislativo  n.  142/2015  non
pone un divieto espresso di  iscrizione  all'anagrafe  del  richieste
asilo titolare del permesso di soggiorno; 
        la norma, infatti, si  limita  a  dire  che  il  permesso  di
soggiorno «non costituisce titolo»; 
        da un esame della normativa in  materia,  si  evince  che  il
permesso di soggiorno non e' «titolo» per  l'iscrizione  all'anagrafe
ma e' mera prova della regolarita' del soggiorno dello straniero  sul
territorio; 
        il decreto legislativo n.  142/2015  all'art.  5-bis  -  come
introdotto dalla legge n. 46/2017 e poi abrogato dal decreto-legge n.
113/2018 - aveva introdotto una procedura semplificata di  iscrizione
all'anagrafe del richiedente asilo: 
    Art. 5-bis Iscrizione anagrafica. 
    1. Il richiedente protezione internazionale ospitato  nei  centri
di cui agli articoli 9, 11  e  14  e'  iscritto  nell'anagrafe  della
popolazione residente ai sensi dell'art. 5 del regolamento di cui  al
decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1989, n.  223,  ove
non iscritto individualmente. 
    2. E' fatto obbligo al  responsabile  della  convivenza  di  dare
comunicazione della variazione della convivenza al competente ufficio
di anagrafe entro venti giorni dalla data in cui si sono verificati i
fatti. 
    3. La comunicazione, da parte del responsabile  della  convivenza
anagrafica,   della   revoca   delle   misure   di   accoglienza    o
dell'allontanamento  non  giustificato  del  richiedente   protezione
internazionale costituisce motivo  di  cancellazione  anagrafica  con
effetto immediato, fermo restando il  diritto  di  essere  nuovamente
iscritto ai sensi del comma 1. 
    tale procedura, in deroga alla disciplina ordinaria di iscrizione
all'anagrafe, prevedeva che  fosse  il  responsabile  del  centro  di
accoglienza che ospitava il migrante ad effettuare una  comunicazione
all'ufficio  dell'anagrafe  e  dunque  che  non  fosse   il   diretto
interessato a richiedere l'iscrizione; 
    il decreto-legge n. 113/2018 dunque, da  una  parte  ha  abrogato
tale procedura di iscrizione semplificata, dall'altra, con  la  norma
oggi sub iudice, avrebbe ribadito che non vi e' alcun automatismo tra
rilascio  del  permesso  di  soggiorno  e   iscrizione   all'anagrafe
(automatismo  che  era  posto  a  fondamento  dell'art.  5-bis  sopra
richiamato); 
    la soluzione sarebbe avallata dal  fatto  che  non  vi  e'  stata
modifica all'art. 6 testo unico immigrazione in tema di parificazione
tra stranieri regolarmente soggiornanti e cittadini italiani ai  fini
dell'iscrizione all'anagrafe. 
    Tale  interpretazione,  che  tiene  conto  anche  dell'evoluzione
normativa, canone ermeneutico sicuramente  valido,  non  puo'  essere
condivisa. 
    A parere di questo giudice, la stessa  priva  di  significato  la
portata innovativa della  norma  e  conduce  ad  una  interpretazione
abrogante, per le ragioni di seguito indicate: 
        la procedura di iscrizione semplificata e' stata abrogata con
una norma apposita, pertanto, non vi era la necessita' di ribadire il
difetto di automatismo tra rilascio  del  permesso  di  soggiorno  ed
iscrizione all'anagrafe con una ulteriore disposizione. Tra  tutti  i
possibili significati riconducibili ad una norma,  infatti,  si  deve
optare per quello che riconnette alla medesima un qualche effetto, se
esistente; 
        in ogni caso, pur assumendo quello indicato  dai  giudici  di
merito richiamati come il significato della norma, non  si  comprende
quale sia il senso del richiamo all'art. 6 testo unico  immigrazione,
laddove si afferma che il permesso di  soggiorno  non  e'  titolo  ai
sensi  di  quella  norma  (la  disposizione  non  si  occupa  affatto
dell'automatismo tra rilascio del permesso di soggiorno ed iscrizione
all'anagrafe, ma pone  semplicemente  la  regolarita'  del  soggiorno
dello straniero quale condizione per la parificazione al cittadino ai
fini dell'applicazione della disciplina); 
        la mancata modifica dell'art. 6 testo unico immigrazione, che
viene evocata a riprova dell'applicazione della disciplina  ordinaria
in materia di iscrizione  all'anagrafe  anche  al  richiedente  asilo
titolare del permesso di soggiorno, non rileva in alcun  modo.  Anzi,
e' proprio l'art. 4, comma 1-bis,  decreto  legislativo  n.  142/2015
che, quale norma di pari rango e posteriore, introducendo una deroga,
sottrae uno spazio applicativo all'art. 6 testo  unico  immigrazione,
escludendo che il  permesso  per  richiesta  asilo  sia  prova  della
regolarita' del soggiorno ai fini della sua applicazione. 
    Per   tutto   quanto   esposto   non    si    puo'    condividere
l'interpretazione prospettata nelle pronunce richiamate,  secondo  la
quale la  norma  in  questione  «sancisce  l'abrogazione,  non  della
possibilita' di iscriversi al registro  della  popolazione  residente
dei titolari di un permesso di soggiorno per richiesta asilo, ma sola
della procedura  semplificata  prevista  nel  2017,  che  introduceva
l'istituto della convivenza anagrafica, svincolando l'iscrizione  dai
controlli previsti per gli altri stranieri regolarmente  residente  e
per i cittadini italiani». 
    In ordine alla chiarezza del portato  normativo  si  e'  espresso
recentemente anche il Tribunale  di  Trento,  con  ordinanza  dell'11
giugno 2019,  statuendo  che  l'attuale  assetto  normativo  preclude
l'iscrizione all'anagrafe al richiedente asilo titolare del  permesso
di soggiorno. 
    Il provvedimento, in aderenza a quanto fino ad  ora  argomentato,
arriva addirittura ad affermare la «palese chiarezza  della  relativa
normativa richiamata, di cui all'art. 4, comma 1-bis della  legge  n.
142/2015, cosi' come modificato dall'art.  13  del  decreto-legge  n.
113/2018,  che  esclude,  per  tabulas,  la   possibilita'   per   il
richiedente  protezione  di  ottenere  l'iscrizione  anagrafica   nel
comune, ove e' di fatto residente». 
    La corte di merito, inoltre, richiama il palese significato della
norma quale limite per l'interprete: «Inoltre, si deve osservare  che
una interpretazione della suddetta norma, in senso costituzionalmente
orientato, puo' effettuarsi alla condizione che il testo normativo da
applicare non venga del tutto stravolto, nel suo significato  palese,
altrimenti effettuare operazioni di tal fatta, equivarrebbe a rendere
non  applicabili  norme,  espungendole  di   fatto   dall'ordinamento
giuridico, atto  questo  vietato  all'operatore  giuridico,  dovendo,
semmai,   il   giudice   sollevare    questione    di    legittimita'
costituzionale,   per   violazione   dei   parametri   della    Carta
fondamentale». 
    Chiarita  l'interpretazione   della   disposizione   e   chiarita
l'impossibilita' di riconnettere alla stessa un  significato  diverso
ed opposto a  quello  che  conduce  alla  preclusione  all'iscrizione
anagrafica, pena lo stravolgimento del dettato normativo, deve essere
effettuato  un  esame  circa  la  compatibilita'  della   norma   con
l'impianto costituzionale, tenuto conto che l'odierno  resistente  ha
invitato  il  giudice   a   sollevare   eccezione   di   legittimita'
costituzionale  della  norma,  sebbene  limitandosi  a  richiamare  i
parametri violati. 
    Alla luce dell'attuale assetto  normativo  la  domanda  cautelare
dovrebbe essere rigettata per difetto di fumus  boni  iuris,  essendo
legittimo il diniego di iscrizione anagrafica opposto dal  Comune  di
Ancona. Tuttavia, laddove  si  dovesse  ritenere  non  manifestamente
infondata la questione di legittimita' costituzionale  sollevata  dal
resistente, si dovrebbe andare ad indagare  il  rapporto  tra  tutela
cautelare e sospensione del processo per rimessione  della  questione
alla Corte costituzionale. 
    Prima di passare allo scrutinio della legittimita' costituzionale
della  norma  e  della  possibilita'  di   sollevare   questione   di
legittimita'  costituzionale  nell'ambito  del  giudizio   cautelare,
appare utile soffermarsi sulla  sussistenza  del  periculum  in  mora
della tutela cautelare e cio' per due evidenti ragioni: 
        la prima risiede nel fatto  che,  laddove  questo  giudicante
dovesse escludere il periculum in  mora,  si  imporrebbe  il  rigetto
della domanda cautelare a prescindere  dalla  sussistenza  del  fumus
boni  iuris  e  sarebbe  ultroneo  soffermarsi   sulla   legittimita'
costituzionale della norma o meno e sulla conseguente possibilita' di
introdurre un incidente di legittimita' costituzionale, tenuto  conto
che la questione sarebbe irrilevante ai fini del decidere; 
        la seconda risiede nel fatto che  l'esame  del  periculum  in
mora potra' gia' fornire elementi in ordine alla  individuazione  dei
diritti  che  risultano  eventualmente  compromessi   dalla   mancata
iscrizione  all'anagrafe  e  quindi  indizi  che  potranno  risultare
eventualmente utili a vagliare  la  non  manifesta  fondatezza  della
questione. 
3. Sul periculum in mora 
    Come risulta dalla ricostruzione dello svolgimento del  processo,
cui si rimanda, il ricorrente ha argomentato  la  sussistenza  di  un
periculum in  mora  dalla  impossibilita'  di  esercitare  diritti  e
facolta', che presuppongono l'avvenuta  iscrizione  all'anagrafe  dei
residenti,  impossibilita'  che  dunque   sarebbe   foriera   di   un
pregiudizio  non  ristorabile   per   equivalente   all'esito   della
definizione di un eventuale giudizio di merito volto all'accoglimento
della domanda. 
    Nel ricorso introduttivo i pregiudizi sono stati indicati in  via
astratta e con il richiamo a quanto asserito dalla giurisprudenza  di
merito che ha  evidenziato  come  la  mancata  iscrizione  anagrafica
rischi di  impedire  l'esercizio  effettivo  di  diritti  di  rilievo
costituzionale che potrebbero subire un pregiudizio irreparabile: 
        eventuale iscrizione scolastica; 
        sottoscrizione di un contratto di lavoro; 
        accesso alle misure di politica attiva del lavoro ex art. 11,
comma 1, lett c, decreto legislativo n. 150/2015; 
        apertura di un conto corrente su  cui  il  datore  di  lavoro
possa versare il salario; 
        ottenimento della patente di guida ex art. 118-bis 1 cds.; 
        determinazione  valore  ISEE  per  accedere   a   determinate
prestazioni sociali; 
        decorrenza dei termini  per  il  rilascio  del  permesso  per
soggiornanti di lungo periodo; 
        decorrenza dei termini per l'ottenimento  della  cittadinanza
italiana ex art. 9, 1 lettera f), legge n. 91/1992 ecc. 
    Nella memoria autorizzata il ricorrente ha meglio argomentato  in
ordine al caso concreto circa la sussistenza del periculum  in  mora,
che, alla luce delle deduzioni, nel caso di specie, appare pacifico. 
    Infatti,  sotto  il  profilo  del  periculum  non  ci   si   deve
interrogare ne' in ordine alla legittimita' o  meno  del  diniego  di
iscrizione anagrafica, ne' in ordine alla legittimita' o  meno  della
preclusione all'esercizio dei diritti che ne conseguono, ma  si  deve
valutare se tale diniego stia impedendo medio tempore  ed  in  attesa
del giudizio di merito l'esercizio di diritti o di facolta'  che  non
siano ristorabili per equivalente all'esito di un eventuale  giudizio
di merito che stabilisca la illegittimita' del rifiuto. 
    La risposta in ordine alla  ristorabilita'  per  equivalente  dei
diritti e facolta' compromessi, nel caso concreto, e' negativa. 
    Allo stato attuale,  la  mancata  iscrizione  all'anagrafe  -  se
legittima o meno e' profilo distinto  -  preclude  al  ricorrente  di
accogliere un'offerta lavorativa  concreta,  che  presuppone  che  il
medesimo apra una partita I.v.a. e  consegua  la  patente  di  guida,
incombenti preclusi dalla mancata iscrizione all'anagrafe. 
    L'impedimento    all'esercizio     dell'attivita'     lavorativa,
finalizzata,  da  una  parte,  al  mantenimento  del  ricorrente   e,
dall'altra, al suo processo di integrazione, produce  sicuramente  un
pregiudizio  non  ristorabile  per  equivalente   e   non   meramente
patrimoniale. 
    La mancata iscrizione impedisce, inoltre, di stipulare  contratti
di lavoro occasionale, ai sensi  del  decreto-legge  n.  50/2017,  in
quanto al  lavoratore  e'  richiesta  una  registrazione  al  portale
dell'I.N.P.S. che presuppone l'inserimento  dei  dati  relativi  alla
residenza, dichiarazione che non puo' essere resa dallo straniero  in
difetto di iscrizione anagrafica. Di conseguenza, risulta precluso un
canale di accesso al lavoro. 
    Si deve rilevare, peraltro, come al ricorrente sia applicabile la
normativa in materia  di  protezione  umanitaria,  nell'ambito  della
quale  lo  svolgimento  dell'attivita'  lavorativa   costituisce   un
indicatore del processo di integrazione della persona. 
    La  mancata  iscrizione  all'anagrafe  impedisce,   inoltre,   la
decorrenza del termine di dieci anni ex art. 9, legge n.  91/1992  ai
fini dell'ottenimento della  cittadinanza  italiana.  Non  e'  errata
l'affermazione del ricorrente laddove si evidenzia che ogni giorno di
mancata iscrizione anagrafica e' sottratto  al  progressivo  maturare
del requisito temporale. 
    Tanto premesso, va chiarito  che  la  difesa  del  resistente  ha
argomentato l'insussistenza di un periculum in mora dalla norma posta
dall'art. 5, comma  3  del  decreto  legislativo  n.  142/2015,  come
modificato dal decreto-legge n. 113/2018 che recita: 
        l'accesso ai servizi previsti dal presente decreto e a quelli
comunque erogati sul territorio  ai  sensi  delle  norme  vigenti  e'
assicurato nel luogo di domicilio individuato ai sensi dei commi 1  e
2. 
    Secondo  la  prospettazione  del  resistente  la  suddetta  norma
sarebbe utile a garantire l'accesso a tutte  le  prestazioni  erogate
sul territorio nazionale dalla pubblica amministrazione ma anche  dai
soggetti privati. La giurisprudenza di  merito  ha  gia'  evidenziato
come tale norma sembra «presentare un tratto meramente declamatorio e
non  consentire  comunque  di  coprire  tutte  le   facolta'   e   le
possibilita' che in vari campi  vengono  ricondotte  alla  residenza,
anche al di fuori dei  servizi  pubblici.  Appare  ragionevole,  allo
stato, ipotizzare la sua soccombenza di fronte alle  disposizioni  di
pari ragno che, invece, continuano a richiedere  il  requisito  della
residenza anagrafica per l'accesso ai  benefici  di  volta  in  volta
previsti» (Tribunale  Firenze  del  18  marzo  2019);  «la  locuzione
servizi previsti  dal  presente  decreto  e  erogati  sul  territorio
nazionale non esaurisce infatti i diritti individuali fruibili  dagli
individui  in  connessione  con  la  loro  residenza  sul  territorio
nazionale e rende comunque ingiustificatamente piu' grazioso il  loro
esercizio» (Tribunale di Bologna del 2 maggio 2019). 
    La tesi sostenuta  dai  richiamati  tribunali  di  merito  appare
condivisibile in quanto il riferimento ai «servizi» limita  di  molto
la portata precettiva della  norma  e  se,  da  una  parte,  assicura
l'accesso a servizi fondamentali quali quelli di tutela della salute,
dall'altra, non consente di surrogare il luogo di domicilio a  quello
di  residenza  per  ogni  eventuale  diritto  o  facolta'  a   questa
riconnesso dalla legge. 
4. Sulla questione di legittimita' costituzionale dell'art. 13, comma
1, lettera a), n. 2) del  decreto-legge  n.  113/2018  convertito  in
legge n. 132/2018, che ha introdotto  il  comma  1-bis  dell'art.  4,
decreto legislativo n. 142/2015 
    4.1. Sulla rilevanza della questione. 
    Ritenuto  sussistente  il  requisito  del   periculum   richiesto
dall'art. 700  del  codice  di  procedura  civile,  la  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. dell'art. 13, comma 1,  lettera
a), n. 2) del decreto-legge n. 113/2018 che ha introdotto  l'art.  4,
comma 1-bis, decreto legislativo n. 142/2015  diviene  rilevante  nel
presente giudizio. 
    Il  ricorrente,  infatti,  ha  adito  l'autorita'  giudiziaria  a
seguito del rigetto della domanda di  iscrizione  all'anagrafe  della
popolazione residente pronunciato  dall'ufficiale  dell'anagrafe  del
Comune  di  Ancona,  il  quale  ha  fatto  applicazione  della  norma
sospettata di illegittimita' costituzionale. 
    Nella presente fase cautelare, quindi, il giudice e'  chiamato  a
pronunciare provvedimenti opportuni, facendo applicazione  di  quella
norma. Alla  luce  di  tutto  quanto  sopra  enunciato,  si  dovrebbe
giungere al rigetto della domanda cautelare  per  carenza  del  fumus
boni iuris, in applicazione della norma sospettata di  illegittimita'
costituzionale. 
    Tuttavia,  proprio   il   fondato   dubbio   sulla   legittimita'
costituzionale della norma,  legittima  il  giudice  che  deve  farne
applicazione a sollevare la relativa questione. 
    Se, da un lato, la rilevanza  della  questione  appare  pacifica,
dall'altro, occorre soffermarsi sul rapporto tra tutela  cautelare  e
questione di legittimita' costituzionale sollevata in via incidentale
nell'ambito del relativo giudizio. 
    E'  evidente,  infatti,  che  l'ontologica  celerita'  del   rito
cautelare entra in collisione con il meccanismo  di  sospensione  del
processo  per  rimessione  della  questione  al  vaglio  della  Corte
costituzionale. L'interferenza tra i  due  giudizi  non  puo'  essere
risolta  accedendo  alla  soluzione  che   opta   per   la   assoluta
incompatibilita' tra tutela  cautelare  e  giudizio  di  legittimita'
costituzionale, in quanto e' evidente  che  la  soluzione  pecca  per
eccessivo formalismo ed obbliga il giudice della cautela  -  deputato
per sistema a fornire una tutela a fronte di situazioni minacciate da
pregiudizio - a negare la tutela, facendo applicazione di  una  norma
sospettata di illegittimita' costituzionale. 
    Allo  stesso  tempo,  in  un  sistema  giuridico   di   sindacato
costituzionale  accentrato,  non  appare  percorribile   neanche   la
soluzione diametralmente opposta  e  cioe'  quella  del  giudice  che
concede   la   tutela,   disapplicando   la   norma   sospettata   di
illegittimita' costituzionale. La richiamata soluzione eleverebbe  il
giudice di merito a giudice delle leggi, dando spazio ad una  vistosa
anomalia del sistema: si assisterebbe ad un esercizio  di  un  potere
costituzionale riservato ad altro organo e l'efficacia  inter  partes
della  pronuncia  avrebbe  dei  riflessi  in  tema   di   trattamento
diversificato sul territorio. Si aggiunga,  inoltre,  che  alla  luce
della idoneita' del provvedimento ex art. 700 del codice di procedura
civile a conservare la sua efficacia, rientrando lo stesso nel novero
dei  provvedimenti  cautelari  a  strumentalita'  attenuata,  non  vi
sarebbe la garanzia di un successivo giudizio di merito nel quale  la
questione possa essere portata al vaglio della Corte costituzionale. 
    Una soluzione al  problema,  che  questo  giudicante  ritiene  di
condividere, trova  origine  nella  giurisprudenza  amministrava.  Si
tratta della c.d. tutela cautelare a tempo ovvero la misura cautelare
viene concessa, in via provvisoria, condizionandone la conferma o  la
revoca all'esito del giudizio di legittimita' costituzionale. 
    La soluzione, che prevede la scomposizione della  fase  cautelare
in una fase interinale, nella quale il  giudice  concede  la  cautela
fino alla decisione della Corte costituzionale, ed una  seconda  fase
nella quale il giudice si pronuncia in via definitiva, tenendo  conto
dell'esito del giudizio costituzionale,  consente,  da  un  lato,  di
preservare l'effettivita' e l'immediatezza della tutela cautelare  e,
dall'altro, di scongiurare una pronuncia  di  inammissibilita'  della
questione  di  legittimita'  costituzionale  per  esaurimento   della
potestas iudicandi del giudice rimettente. 
    D'altronde la scomposizione del  giudizio  in  due  fasi  non  e'
estranea neanche al processo civile: si pensi al  meccanismo  di  cui
all'art. 669-sexies, comma 2 del codice di procedura civile. 
    La compatibilita' tra tutela cautelare e giudizio di legittimita'
costituzionale, nei termini anzidetti, ha superato  il  vaglio  della
stessa  Corte  costituzionale,  la  quale  ha  ritenuto   ammissibili
questioni di legittimita' costituzionale sollevate in via incidentale
nell'ambito di giudizi cautelari, sul presupposto che la  tutela  sia
stata concessa in  via  provvisoria  proprio  in  ragione  della  non
manifesta infondatezza della questione. 
    Si richiama a tal fine un passaggio argomentativo della ordinanza
n.  25  del  2006  della  Corte  costituzionale:  «deve   respingersi
l'eccezione   di   inammissibilita'   della    questione    sollevata
dall'Avvocatura generale dello  Stato  sul  presupposto  che,  avendo
emesso il provvedimento cautelare richiestogli con l'appello proposto
avverso l'ordinanza di diniego del TAR, il Consiglio di Stato avrebbe
esaurito la potestas judicandi, quale  ad  esso  compete  nella  sede
cautelare; che questa Corte ha piu' volte  statuito  che  il  giudice
amministrativo  ben  puo'   sollevare   questione   di   legittimita'
costituzionale in sede  cautelare,  sia  quando  non  provveda  sulla
domanda cautelare, sia quando conceda  la  relativa  misura,  purche'
tale concessione non  si  risolva,  per  le  ragioni  addotte  a  suo
fondamento, nel definitivo esaurimento del potere cautelare del quale
in quella sede il giudice amministrativo fruisce: con la  conseguenza
che la questione di legittimita' costituzionale  e'  inammissibile  -
oltre  che,  ovviamente,  se  la  misura  e'   espressamente   negata
(ordinanza n. 82 del 2005) - quando essa sia concessa sulla  base  di
ragioni, quanto al  fumus  boni  juris,  che  prescindono  dalla  non
manifesta infondatezza della questione stessa (sentenza  n.  451  del
1993); che la potestas judicandi non puo' ritenersi  esaurita  quando
la concessione della misura cautelare e'  fondala,  quanto  al  fumus
boni juris, sulla  non  manifesta  infondatezza  della  questione  di
legittimita' costituzionale, dovendosi in  tal  caso  la  sospensione
dell'efficacia del  provvedimento  impugnato  ritenere  di  carattere
provvisorio e temporaneo fino alla  ripresa  del  giudizio  cautelare
dopo  l'incidente  di  legittimita'  costituzionale   (ex   plurimis,
sentenze n. 444 del 1990; n. 367 del 1991; numeri 24, 30  e  359  del
1995; n. 183 del 1997; n. 4 del 2000)». 
    Tanto   premesso,   il   principio    enunciato    dalla    Corte
costituzionale, sebbene relativo ad ipotesi  nelle  quali  la  tutela
cautelare era di tipo sospensivo, si  ritiene  applicabile  anche  ai
casi di cautela di natura anticipatoria, come quella sub iudice. 
    Infatti,  nel  caso  di  specie,  verrebbe  concessa  la   misura
cautelare mediante l'ordine di iscrivere il  ricorrente  all'anagrafe
della  popolazione  residente,   con   riserva   di   confermare   il
provvedimento  o  caducarlo,  ordinando   quindi   la   cancellazione
dell'iscrizione, all'esito del giudizio di costituzionalita'. 
    Non vi sarebbe alcun ostacolo normativo, dal momento  che  l'art.
700 del codice di procedura civile, peraltro, attribuisce  al giudice
il potere  di  adottare  «i  provvedimenti  d'urgenza  che  appaiono,
secondo le circostanze piu' idonei». 
    La concessione del provvedimento anticipatorio, inoltre,  per  la
natura dell'iscrizione all'anagrafe della popolazione residente,  non
determinerebbe effetti irreversibili - non suscettibili di successiva
modifica - ma garantirebbe l'iscrizione  almeno  fino  all'esito  del
giudizio  di  legittimita'  costituzionale,  momento  nel  quale   si
stabilira' se confermare definitivamente  la  misura  o  disporne  la
cancellazione. 
    In applicazione del principio avallato dalla Consulta,  pertanto,
la  questione  di  legittimita'  costituzionale  sarebbe  ammissibile
poiche'  la  misura  cautelare  verrebbe  provvisoriamente   concessa
proprio  sul  presupposto  esclusivo  secondo  cui  si  ritiene   non
manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale. 
    Va rilevato, infine, che l'eventuale esclusione della c.d. tutela
cautelare a tempo per le misure  cautelari  di  natura  anticipatoria
determinerebbe un  irragionevole  discrimine  rispetto  a  quelle  di
natura sospensiva, che non si giustificata alla  luce  delle  ragioni
richiamate. 
    Si evidenzia, tra l'altro, che la Corte di Giustizia  dell'Unione
europea, con pronunce risalenti, si e' pronunciata in modo favorevole
rispetto all'analoga ipotesi della possibilita'  per  i  giudici  che
sollevano  rinvio  pregiudiziale   di   adottare   misure   cautelari
provvisorie durante il tempo necessario alla pronuncia  della  Corte,
evidenziando come tale possibilita' fosse  da  estendere  anche  alle
misure di natura anticipatoria (Cfr. CGUE 9 settembre 1995 C-465/93). 
    4.2. Sulla non manifesta infondatezza. 
    Occorre premettere che il resistente, nel presente  giudizio,  ha
eccepito l'illegittimita' costituzionale della norma  limitandosi  ad
indicare  la  disposizione  di  legge   viziata   da   illegittimita'
costituzionale e le disposizioni della Costituzione che  si  assumono
violate. In  particolare,  il  Comune  di  Ancona  ha  individuato  i
seguenti parametri: 3, 10, 16, 77, 97, 117 e 118 Cost.. 
    L'art. 23 della legge n. 87 del 1953, al comma secondo, peraltro,
consente anche al  giudice  di  sollevare  ex  officio  questione  di
legittimita' costituzionale delle norme che e' chiamato ad applicare. 
    Sotto il primo profilo la non manifesta infondatezza  costituisce
un filtro e comporta per il giudice che  la  questione  debba  essere
sollevata ogni qualvolta non si presenti, cosi'  come  dedotta  dalle
parti, palesemente infondata. 
    Nel  caso  del  rilievo  ex  officio  l'integrazione  della   non
manifesta infondatezza non si risolve in un filtro tra le parti e  la
Corte costituzionale ma coincide con  l'impossibilita'  di  dare  una
interpretazione compatibile con la Costituzione. 
    Tanto  premesso,  si  ritiene  la  questione  non  manifestamente
infondata. 
    Ai sensi dell'art. 43 del codice civile la residenza e' il  luogo
in cui la persona ha la dimora abituale, cioe' il  luogo  in  cui  il
soggetto vive la quotidianita' dei suoi  interessi  e  della  propria
famiglia. L'atto con il quale si stabilisce la residenza e'  un  atto
giuridico in senso stretto nel quale cioe' l'elemento soggettivo  non
rileva in se' ma si deve manifestare in un  comportamento  che,  alla
stregua  della  valutazione   sociale,   corrisponde   ad   effettiva
abitazione abituale in un certo luogo («La residenza di  una  persona
e'  determinata  dalla  sua  abituale  e  volontaria  dimora  in   un
determinato luogo, cioe' dall'elemento obiettivo della permanenza  in
tale luogo e dall'elemento  soggettivo  dell'intenzione  di  abitarvi
stabilmente, rivelata dalle consuetudini di vita e dallo  svolgimento
delle normali relazioni sociali» Cassazione n. 1738/1986). 
    L'iscrizione al pubblico registro anagrafico tenuto  presso  ogni
comune ha mero valore pubblicitario e, senz'altro, non costitutivo in
quanto e' noto che l'effettiva residenza di una persona  puo'  essere
accertata con ogni mezzo, anche contro le risultanze anagrafiche. 
    L'iscrizione anagrafica pertanto ha mero  valore  ricognitivo  di
una  situazione  di  fatto  che  esiste  a  prescindere   dalla   sua
manifestazione formale. La preclusione all'iscrizione,  pertanto,  si
risolve in un ostacolo ad ottenere la pubblicizzazione di  uno  stato
di fatto, che si pone a presupposto di esercizio di una molteplicita'
di diritti e di facolta', sia nell'ambito del settore  pubblico,  che
nell'ambito del settore privato. 
    Se da una parte  l'iscrizione  anagrafica,  in  quanto  priva  di
valore costitutivo, puo' apparire una mera formalita' senza  rilievo,
dall'altra, nel fondare la presunzione di corrispondenza alla realta'
effettiva circa il luogo di stabile dimora di un soggetto, assurge  a
strumento  di  primaria  importanza,  laddove,  tanto   nel   settore
pubblico, quanto nel settore privato, si consente di dare prova della
propria residenza mediante il richiamo alla dichiarazione anagrafica. 
    La preclusione all'iscrizione, allora, e' ostacolo dapprima  alla
pubblicita' di una  situazione  di  fatto  e,  secondariamente,  alla
possibilita' di fornirne la relativa prova ai fini dell'esercizio  di
diritti e facolta' o dell'accesso a servizi pubblici o privati. 
    La  giurisprudenza  ha,  infatti,  chiarito  che   lo   strumento
dell'anagrafe  «e'  predisposto  nell'interesse  sia  della  pubblica
amministrazione, sia dei  singoli  individui.  Sussiste,  invero, non
soltanto  l'interesse  dell'amministrazione  ad  avere  una  relativa
certezza circa la composizione ed i movimenti della popolazione (...)
ma anche  l'interesse  dei  privati  ad  ottenere  le  certificazioni
anagrafiche ad essi necessarie per l'esercizio dei diritti e politici
e, in generale, per provare la residenza  e  lo  stato  di  famiglia»
(Cass. n. 449/2000). 
    Tanto premesso, si rammenta  che  la  preclusione  all'iscrizione
anagrafica e' stata  giustificata  dalla  relazione  illustrativa  al
decreto-legge con la precarieta' del soggiorno del migrante e con  la
necessita'  di  definire  in  via  prioritaria  la   sua   condizione
giuridica. 
    La medesima argomentazione e' stata recepita  dell'ordinanza  del
Tribunale  di  Trento  che  ha  escluso  profili  di   illegittimita'
costituzionale della norma  proprio  con  il  richiamo  alla  diversa
condizione dello straniero. 
    La considerazione se, prima facie, puo'  apparire  condivisibile,
ad un esame piu' attento non lo e'. 
    Il soggiorno dello straniero richiedente asilo,  legittimato  dal
rilascio del relativo permesso, e' pacificamente non di breve durata.
I  tempi  di  accertamento   delle   condizioni   che   costituiscono
presupposto del riconoscimento della  protezione  internazionale  che
includono il  procedimento  dinanzi  alle  commissioni  territoriali,
l'eventuale impugnativa dinanzi al Tribunale e poi in Cassazione sono
di gran lunga superiori al tempo minimo necessario per poter definire
il luogo in cui lo  straniero  ha  fissato  la  propria  dimora  come
abituale. 
    Tra i parametri di legge che si possono  utilizzare  al  fine  di
riconoscere l'abitualita' di una dimora, vi e' sicuramente  l'art.  6
testo unico immigrazione che fissa a tal fine il termine di tre mesi. 
    Di conseguenza, se da una parte e' vero  che  la  condizione  del
richiedente asilo e' precaria, dall'altra, e' parimenti vero  che  il
suo soggiorno si protrae legittimamente sul territorio per tempi  che
superano sempre almeno la  durata  annuale,  tempi  nei  quali  viene
impedita la pubblicizzazione e la prova  di  una  residenza  che,  di
fatto, viene acquisita. 
    E' noto che  al  legislatore  e'  consentito  dettare  norme  che
regolino l'ingresso e la permanenza dei cittadini extracomunitari nel
nostro paese purche' non palesemente irragionevoli e non contrastanti
con obblighi internazionali. Sul punto, la  Corte  costituzionale  ha
piu' volte ribadito il principio  secondo  cui  il  legislatore  puo'
subordinare l'erogazione di determinate prestazioni alla  circostanza
che lo straniero sia soggiornante con un titolo non episodico  e  non
di breve durata (Cfr. Corte costituzionale n. 306/2008). Nel caso  in
esame, il legislatore sembra aver riservato un trattamento  deteriore
in riferimento ad  uno  straniero,  legalmente  soggiornante  ma  con
titolo che non e' ne' episodico, ne' di' breve durata. 
    I dubbi di  legittimita'  costituzionale  della  norma  censurata
appaiono quindi  non  manifestamente  infondati  con  riferimento  ai
seguenti parametri costituzionali. 
    Il primo parametro rispetto al quale si ritiene fondato il dubbio
di legittimita' e' rappresentato dall'art. 2 della Costituzione. 
    L'impossibilita' per lo straniero richiedente asilo  di  ottenere
la certificazione anagrafica  in  ordine  alla  sua  dimora  abituale
comporta, per le ragioni enunciate,  una  condizione  di  minorazione
generale della sua persona la quale si vede  impossibilitata  a  dare
prova di una condizione di fatto esistente (la dimora abituale). 
    Tale limite si traduce in una  preclusione  all'accesso  a  tutti
quei diritti, facolta' e servizi che elevano tale prova  a  requisito
costitutivo, interponendo quindi seri ostacoli  allo  sviluppo  della
persona come singolo e nelle formazioni sociali. 
    In secondo luogo, la  questione  di  legittimita'  costituzionale
appare non manifestamente infondata con riferimento all'art. 3  della
Costituzione sotto plurimi aspetti. 
    Appare violato, in primo luogo, il principio  di  ragionevolezza,
in quanto il legislatore con la norma censurata ha privato,  al  solo
fine di impedire l'iscrizione anagrafica, il «permesso di soggiorno»,
documento deputato al precipuo fine di attestare la  regolarita'  del
soggiorno di uno  straniero  sul  territorio,  della  sua  ontologica
natura ovvero della sua capacita' di provare la legittima  permanenza
sul territorio nazionale. 
    Il principio di ragionevolezza puo' dirsi rispettato solo laddove
esista una «causa normativa» della suddetta differenziazione che, nel
caso di specie, non puo' essere ravvisata  nella  «precarieta'  della
condizione giuridica dello straniero» in quanto tale precarieta'  non
corrisponde ad un soggiorno di breve durata. 
    La   soluzione   adottata   dal   legislatore    appare    quindi
sproporzionata  rispetto  al  fine:  il  legislatore  avrebbe  dovuto
selezionare i diritti ed i servizi rispetto ai quali si legittima una
preclusione all'accesso da parte del richiedente asilo  e  non  anche
precludere indiscriminatamente ogni facolta' - in ambito  pubblico  e
privato - che si riconnette al possesso della  residenza  anagrafica,
etichettando il  soggiorno  del  richiedente  asilo  come  «soggiorno
irregolare» solo a taluni fini. 
    L'intervento  sproporzionato  rispetto  al  fine  perseguito   e'
rivelato  da  una  contraddizione  in  cui  e'   caduto   lo   stesso
legislatore, palesando un ulteriore profilo di irragionevolezza. 
    Da un lato infatti, il legislatore ha previsto che il permesso di
soggiorno  per  richiesta  asilo  consente  di   svolgere   attivita'
lavorativa (Cfr. art. 22 decreto legislativo n. 142/2015 «Il permesso
di soggiorno per richiesta  asilo  di  cui  all'art.  4  consente  di
svolgere  attivita'  lavorativa,  trascorsi  sessanta  giorni   dalla
presentazione della  domanda,  se  il  procedimento  di  esame  della
domanda non e' concluso ed il ritardo non puo' essere  attribuito  al
richiedente») - riconoscendo quindi l'importanza di tale profilo  non
solo ai fini del sostentamento dello  straniero,  ma  anche  ai  fini
della sua integrazione nel  tessuto  sociale  -  dall'altro,  con  la
preclusione all'iscrizione all'anagrafe della popolazione  residente,
ha impedito al titolare di permesso di soggiorno di interloquire  con
l'ente  deputato  alla  gestione  ed  alla   ricerca   di   occasioni
lavorative. La mancata  iscrizione  all'anagrafe,  infatti,  preclude
l'accesso alle politiche attive del lavoro di cui all'art. 11 decreto
legislativo n. 150/2015, politiche riservate per espressa  previsione
di legge ai residenti sul territorio (Cfr. art. 11, comma 3,  lettera
c),  decreto  legislativo   n.   150/2011),   cosi'   come   preclude
l'inserimento del titolare  del  permesso  per  richiesta  asilo  nel
sistema informativo unitario delle politiche del lavoro  che  prevede
la formazione di una scheda anagrafica del lavoratore (Cfr. art.  13,
decreto legislativo n. 150/2011). Allo stesso tempo, e'  preclusa  la
possibilita' di stipulare  contratti  di  lavoro  di  prestazione  di
lavoro occasionale, come disciplinati dal decreto-legge n. 50/2017  e
dal decreto-legge n.  87/2018,  in  quanto  al  lavoratore  privo  di
residenza  e'  preclusa  la  registrazione  al   portale   telematico
dell'I.N.P.S.. 
    In  definitiva,  quindi,  il  diritto  al  lavoro  che  e'  stato
riconosciuto anche ai titolari di permesso di soggiorno per richiesta
asilo risulta compromesso dagli ostacoli che la norma  sub  iudice  -
impedendo l'acquisizione di una residenza formale - frappone  tra  il
lavoratore e i canali  di  accesso  alle  occasioni  lavorative,  con
evidenti profili di irragionevolezza. 
    Appare  poi  violato  il   principio   di   eguaglianza   e   non
discriminazione, sub specie di diversita' di trattamento a fronte  di
situazioni eguali. 
    L'impossibilita'  per  il  richiedente  asilo  di   ottenere   la
ricognizione anagrafica, a fronte  della  sussistenza  del  requisito
costitutivo della residenza ovvero la dimora abituale, si  estrinseca
in un trattamento deteriore non giustificato  rispetto  al  cittadino
italiano ma anche e soprattutto rispetto allo straniero  regolarmente
soggiornante con altro titolo. 
    La «precarieta'» della sua  condizione  giuridica,  infatti,  non
pare giustificare il diverso trattamento, dal  momento  che,  per  le
ragioni gia' individuate, tale precarieta' non equivale ad una  breve
durata del soggiorno legittimo sul territorio  nazionale  e  pertanto
non inficia il presupposto posto a base della residenza  e  cioe'  la
dimora abituale nel suo elemento oggettivo e soggettivo. 
    La discriminazione e' ancora piu' evidente  rispetto  agli  altri
stranieri regolarmente soggiornanti e cioe'  muniti  di  permesso  di
soggiorno  di  altro  tipo.  Rispetto  a  quest'ultimi,  addirittura,
l'ingiustificato trattamento deteriore puo'  risultare  piu'  marcato
poiche' gli  stessi  non  incontrano  limitazioni  nell'accesso  alle
iscrizioni anagrafiche e possono ottenerle con il decorso  del  tempo
minimo necessario a considerare la loro dimora come abituale, anche a
fronte di un soggiorno temporalmente ridotto rispetto  a  quello  dei
richiedenti asilo. 
    La  precarieta'  della  condizione  giuridica   dello   straniero
richiedente asilo e' senz'altro un elemento discretivo rispetto  alla
condizione del cittadino o di  un  altro  straniero  titolare  di  un
permesso di altro tipo, ma la  stessa  puo'  e  deve  avere  un  peso
esclusivamente  rispetto  a  questioni  nelle   quali   la   suddetta
precarieta' entra in collisione con gli  effetti  di  una  situazione
giuridica da riconoscere. 
    Rispetto   al   diritto   a   vedersi    riconosciuta    mediante
certificazione anagrafica la propria dimora abituale, la  precarieta'
della  condizione  giuridica  non  esplica  nessuno  effetto  e   non
giustifica l'impossibilita' di ottenere prova di una residenza che e'
effettivamente  abituale  e  che  puo'  protrarsi  anche  per   anni.
Peraltro, non possono invocarsi neanche esigenze  di  certezza  delle
risultanze anagrafiche,  poiche'  l'art.  7,  comma  3,  decreto  del
Presidente della Repubblica n. 223/1989 - laddove pone  l'obbligo  di
rinnovare la dichiarazione di dimora abituale entro  sessanta  giorni
dal rinnovo del permesso di  soggiorno e  statuisce  che  l'ufficiale
dell'anagrafe  aggiorna  la  scheda  anagrafica  dello  straniero   -
assicura un meccanismo di cancellazione della  residenza  laddove  il
permesso di soggiorno non dovesse essere rinnovato. 
    Infine, dubbi di legittimita' costituzionale si avanzano anche in
riferimento alla violazione dell'art. 117, comma 1 della Costituzione
in relazione all'art. 2, protocollo n. 4  della  Convenzione  europea
dei diritti dell'uomo in base al quale «chiunque si trovi  legalmente
nel territorio di uno Stato ha diritto alla liberta' di  movimento  e
alla liberta' di scelta della residenza in quel  territorio»  nonche'
all'art. 117, comma 1 in relazione all'art. 12 del Patto sui  diritti
internazionali  civili  e  politici  «Ogni  individuo  che  si  trovi
legalmente nel territorio di uno Stato ha diritto  alla  liberta'  di
movimento  e  alla  liberta'  di  scelta  della  residenza  in   quel
territorio».